Il padre dell’esistenzialismo o addirittura il precursore di Freud? Soren Kierkegaard, danese, non era un ciclista del tour de France, ma un filosofo tra i più ragguardevoli, se per tali s’intendono coloro che hanno contribuito col loro pensiero a determinare una svolta alla storia della filosofia. Partiamo da un presupposto. Copenaghen, dove il giovane Soren nacque nel 1813 e dove morì a soli 42 anni, era periferia tedesca. E naturalmente il pensatore per eccellenza era a quei tempi Hegel, il grande unificatore e sistematore logico. Eppure le vicende umane spesso prescindevano dalle sicurezze hegheliane. Il padre di Soren era un ricco commerciante luterano e in seconde nozze aveva messo al mondo lui, il futuro filosofo. Ma la sorte gli fu avversa.
Ben cinque dei suoi sette figli morirono in età infantile e adolescenziale e il vecchio Kierkegaard pensò a una sorta di meledizione. Come quella di Rigoletto, impartitagli da Monterone, al quale era stata violentata la figlia. Anche qui c’era stato un fatto di sesso che aveva riguardato il padre di Kierkegaard. Così anche Soren sarà, da un lato, costretto a ragionare di Hegel, fautore della razionalità, e dall’altro di meledizione eterna, cioè di irrazionalità e di paure. Tra uno sguardo al filosofo della dialettica e uno al destino cinico e baro Soren, anzichè diventare un pastore protestante, come il padre avrebbe voluto, decise di contestare a fondo la Chiesa luterana, troppo adagiata e corrotta nel mondo. Studiò teologia, e dotato di fine ironia che giudicava “l’occhio sicuro per cogliere lo storto, l’assurdo e il vano dell’esistenza”, scrisse una commedia paradossale intitolata “La battaglia tra la vecchia e la nuova saponetta” (che non era la pubblicità di Camay, ma una parodia contro gli ortodossi e i razionalisti). Poi pubblicò numerosi libri partendo da una contestazione di fondo a Hegel e da una nuova semplice considerazione dell’essere umano. La contestazione a Hegel era rivolta al suo concetto di esistenza che era nulla perchè quel che valeva era per lui l’essenza. Hegel, partendo da questa, aveva costruito un sistema in cui l’essere razionale era solo il tutto dentro il quale si procedeva solo per rapporti determinati dalla dialettica (tesi-antitesi e sintesi). Per Kierkegaard era pura allucinazione.
Quel che gli interessava era l’uomo singolo Paolo, Giovanni, Maria e ognuno aveva una sua specifica individualità. E non si riconosceva affatto nel supremo intelletto, ma nel limitato pensiero dell’essere esistente. Si mise a concentrarsi sul particolare e non sul generale. Era la scoperta dell’uovo di Colombo? Anche Socrate, anche i filosofi cristiani la pensavano così e infatti Kierkegaard prende dal cristianesimo, e anche da Socrate, la sua ispirazione. La funzione dei filosofi e in particoare di quelli idealisti era stata proprio quella di fissare le coordinate dell’essere universale, di ciò che faceva comuni gli uomini, attraverso quel che c’era di razionale in loro. E invece Kierkegaard sostiene: “Tutte balle”. L’uomo non è solo razionalità ed pura follia immaginare un sistema in cui prevale sempre la ragione e l’ottimismo. L’uomo, attraverso la sua esistenza, è alle prese con scelte e queste scelte generano angoscia, perchè la sua vita non è determinata dalla necessità, ma dalla possibilità. Deve decidere se andare a destra o a sinistra nel bipolarismo italiano (e questo sì che provoca un livello alto di angoscia), deve decidere se sposarsi o no (e Kierkegaard, anche alla luce delle maledizioni famigliari, decise di no e fece di tutto per apparire un buono a nulla alla sua fidanzatina meno che ventenne, certa Cordelia Olsen). Ci sono tre stadi, per lui, per affrontare e superare l’angoscia. Innanzitutto quello estetico, e qui Kierkegaard prende come esempio Don Giovanni, il gran seduttore che di donne in Ispagna ne aveva concupite ben milletrè, e che pensava solo al piacere e non alla bontà e che alla fine però, piacere per piacere, donna dopo donna, finiva per sconfinare nella noia, perchè non si accontentava mai ed era preso dal senso del nulla. Poi esiste lo stadio etico, in cui invece prevale la bontà, e qui egli prende ad esempio il funzionario Guglielmo, con tanto di moglie, di figli, di famiglia, davvero un gran brav’uomo, ma troppo convenzionale e uniforme e oggi, si potrebbe dire, la sera sempre davanti alla tivù col telecomando in mano, in pantofole e con la moglie a letto coi bigodini. La noia qui si concilia bene con la disperazione. Il terzo stadio, quello risolutivo, è per Kierkegaard quello religioso.
E consiste nel paradosso della fede (e qui Kierkegaard è davvero distante dall’esistenzialismo del novecento, generalmente ateo o agnostico). E’ un paradosso perché alla fede non si giunge con la ragione, ma credendo in ciò che è assurdo: un Dio che diventa uomo, un uomo che diventa Dio. E qui è la parte più irrazionale e davvero illogica di Kierkegaard, che esalta addirittura Abramo, che non esita a sacrificare la sua etica (l’amore per suo figlio) pur di obbedire a Dio. E che viene premiato da Dio che prende atto della sua volontà e gli invia l’angelo salvifico. Che razza di ragionamento è mai questo? Per combattere l’angoscia devo credere punto e basta a prescindere dalla mia stessa etica? C’è solo questo rimedio? E dunque cosa è mai la religione? E’ una sorta di obbligatoria e consigliata medicina per curare i mali miei interiori? A tal punto da subordinarle qualsiasi affetto, qualsiasi bene? Che questo assunto non sia anch’esso da mettere in relazione con la maledizione? Quella di Rigoletto (“Le roi s’amuse” di Victor Hugo) produce il sacrificio della figlia Gilda, che sceglie di morire al posto del gran seduttore. Ma il problema è che Gilda non l’ha fatto per sacrificio religioso, ma dopo una lunga notte d’amore trascorsa col duca-re. Agamennone sacrificò la figlia Ifigenia per placare gli dei (sacrificio utilitaristico, non come quello di Abramo, possibile sacrificio per fede)) e poter partire col suo esercito per Troia alla caccia di Paride. Ma con l’aiuto degli dei la guerra era già vinta come un campionato con Ibrahimovic in squadra. Ma sì, comunque la si giri, la religione è, su questo Kierkegaard ha ragione, assolutamente utile e consigliabile. E’ assurda e paradossale, ma è l’unica che ci cura. Anche con qualche ticket farmaceutico di troppo. Pascal dice che a Dio ci si arriva solo con la fede, Kierkegaard assicura che ci si può arrivare anche per curare il mal di testa. O la paura del terremoto.
(Pubblicato originariamente il 27 Gennaio 2012)