Il Lonfo

Il Lonfo

Il Lonfo non vaterca né gluisce
e molto raramente barigatta,
ma quando soffia il bego a bisce bisce
sdilenca un poco e gnagio s’archipatta.

E’ frusco il Lonfo! E’ pieno di lupigna
arrafferia malversa e sofolenta!
Se cionfi ti sbiduglia e ti arrupigna
se lugri ti botalla e ti criventa.

Eppure il vecchio Lonfo ammargelluto
che bete e zugghia e fonca nei trombazzi
fa lègica busìa, fa gisbuto;

e quasi quasi in segno di sberdazzi
gli affarferesti un gniffo. Ma lui zuto
t’ alloppa, ti sbernecchia; e tu l’accazzi


Tratto dal forum di Giorgio Tave (LINK)

Quali sono gli “ingredienti” per fare poesia?

La domanda è molto complessa; azzardo una lapidaria risposta (anche provvisoria) sostenendo che, tra le molteplici caratteristiche presentate in media dai testi poetici, quattro si elevano nettamente sopra le altre.

  • La voce del declamatore (meglio: l’oralità intrinseca dell’opera), che rende viva ogni poesia e la solleva dallo stato di languida prostrazione in cui versa quando resta troppo a lungo fissa sulla carta e non viene animata dal fiato di qualche parlante.
  • Lo stomaco – o la pancia – cioè l’impulso elementare, essenziale, viscerale all’espressione che muove il poeta e quasi lo costringe a far affiorare (a volte ad espellere con violenza) il suo sentire.
  • Il cuore, inteso come sensibilità spiccata, empatia acuita al massimo ed insolita capacità di percepire gli stimoli del reale o del pensiero, trasfigurandoli nel verso o riproducendoli, nudi e crudi, nell’opera di cui si fa creatore.
  • Il cervello, ovvero la tecnica e le conoscenze culturali, che garantiscono al pensiero una congrua forma espressiva ed una cornice di riferimenti, allusioni, citazioni appropriata.

Le poesie, a ben vedere, presentano tutte – in proporzioni molto variabili e con livelli qualitativi più ondivaghi del clima di un luogo temperato – questi quattro elementi.

Che cosa, accade, però, se uno prevale decisamente sugli altri?

Il risultato, solitamente, non è troppo felice, perché lascia nella bocca e nella mente un retrogusto di perplessità: il lettore si accorge di stare contemplando qualcosa di sbilanciato (senza che ciò vieti una magnifica confezione o fama imperitura) e magari in fondo ne soffre.

In rarissimi casi, però, emerge qualcosa di speciale e delizioso; come quando la voce, o meglio il suono, il gioco con la lingua e le sue assonanze si impongono sulla logica, sulle regole e su tutto il resto.

A quel punto compare ad esempio “Il Lonfo”, brevissimo componimento di Fosco Maraini (Firenze, 15 novembre 1912 – 8 giugno 2004). Eccolo declamato da un fine dicitore d’eccezione: Gigi Proietti.

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