Tratto dal blog “L’Occhio Del Bue” (LINK)
Apri il tema Popper: “Io penso che l’amor sia la più bella cosa che dia felicità, ma quel che penso è poi verità?”. Lui pensa di sì e pensa di no. Dipende. Popper non ha verità assolute. E anche rispetto alla scienza e alla filosofia afferma che quel che è vero è falsificabile. Come l’oro che per essere puro deve esserci anche il finto. Chi sono mai Marx e Freud che elaborano i loro sistemi chiusi dai quali non si può mai ricavare il loro contrario? Santoni, falsi profeti. Se io dico che dal capitalismo nascerà la rivoluzione come faccio poi a dimostrarlo e dire che è vero. Se io dico che l’uomo è condizionato dal complesso di Edipo come faccio a smentirlo? Quel che non è confutabile (la teoria della falsificazione di Popper risale al suo libro del 1935) è da rifiutare. D’altronde siamo nel pieno del relativismo di Einstein, nel secolo di continue nuove scoperte che mettono in discussione i confini tra scienza e metafisica. Una suggestione metafisica più tardi si potrebbe magari rivelare scientifica. Che cos’è mai il big bang? Com’è possibile annoverare come scienza un sistema chiuso e immodificabile? E’ possibile magari anche smentire Darwin e affermare chi lo sa, che non solo l’uomo deriva dalla scimmia, ma anche da un Trota… No, Popper non ci sta, e magari nel pensiero si collega a Socrate e al suo “so di non sapere” o a Cartesio e al suo “cogito ergo sum”. Ai grandi interrogativi che mettono in discussione le certezze assolute. Agli uomini che dubitano, ai grandi cultori di libertà. Se ne vada dunque Hegel col suo sistema perfetto, e con lui Marx col suo e Freud col suo e il positivismo con la sua metafisica certezza del progresso e se ne vadano tutti gli impianti dei santi cultori di verità. Al bando. E arriva così alla conclusione paradossale che solo se falsificabile (dunque modificabile) una scoperta è scientifica. Per i positivisti bastava avere fiducia nella scienza e verificarla. Altro che. Quel che è verificabile in un certo momento può non esserlo più dopo. Mica c’è niente di eterno anche nella scienza. Karl Popper è il più grande filosofo del novecento che egli visse quasi interamente (era nato a Vienna nel 1902 e morì a Londra nel 1994) e ne trasse il meglio. Dal secolo delle due guerre mondiali, delle grandi dittature e degli stermini di razze, Popper, dopo essere stato marxista in gioventù e militante della Spd austriaca prima dell’avvento del nazismo (lasciò l’Austria nel 1937 e si rifugiò addirittura in Nuova Zelanda dove ancora non si esibivano gli All Blacks) volle salvaguardare i valori del suo moderno liberalismo. Che poi lo porterà, nel 1945, a scrivere il suo libro più famoso: “La società aperta”. Certo l’Inghilterra, dove si trasferì subito dopo la fine della guerra, e dove, dopo aver meritato i più alti onori (come il titolo di baronetto nel 1965 al pari dei Beatles) insegnò, scrisse e morì, era il suo habitat ideale. Insegnò Logica (si era laureato in filosofia nel 1928) all’Università di Londra. La sua filosofia è fatta di processi, di relazioni, di metodi. Non di verità. Egli azzarda l’idea che l’essere umano proceda cavalcando in tre mondi. E l’Io è il punto di equilibrio di questa novella triadicità. Come il Padre, il Figlio e lo Spirito santo, come la tesi, l’antitesi e la sintesi, come l’Io, l’Es e il Super io, anche Popper (forse questo è un suo limite visto che è l’antidogmatico per eccellenza) procede con il magico tre. E santifica un po’ anche lui. C’è nella formazione dell’Io, il mondo uno che è quello fisico, materiale, esterno, poi c’è il mondo due (quello dell’esperienza) e c’è anche il mondo tre, che è quello della fantasia, della creatività. Vivono in simbiosi questi tre mondi e formano l’essere umano. “Il mio mondo è cominciato in te”, cantava Umberto Bindi. E nel concetto di mondo ce ne sono tre: quello esterno (ci sei tu), quello dell’esperienza (io ti ho conosciuto, ho conosciuto te, te che sei esterna a me, ma anche oggetto della mia esperienza, del mio desiderio, del mio amore) e c’è anche quell’idea dell’inizio di un mondo nuovo (che è cominciato in te) e dunque che dall’esperienza nasce e si sviluppa grazie alla mia fantasia. Uno, due e tre. Pensa te, Bindi, anzi Paoli (perché le parole sono sue) quanto conosceva Popper… Un mondo ove naturalmente ognuno di noi può essere mondo uno, due, tre, sia chiaro. L’uomo come novello eroe dei tre mondi. Politicamente Popper è assertore del liberalismo sociale, definiamolo così. Come Bertrand Russel ritiene vi sia una certa comunanza tra le tesi del socialismo marxista e quelle dell’assolutismo nazifascista. La sua critica allo storicismo e alla dialettica sono viste come rimedi contro le degenerazioni autoritarie. Com’è possibile, infatti, in base alle analisi di una società del momento prevedere lo sviluppo del futuro, senza mettere in gioco anche l’uomo, il suo cambiamento e la sua creatività, in fondo il suo mondo tre? Questo è il punto fondamentale, la base del suo moderno liberalismo, la fiducia nell’uomo, nelle sue facoltà, nella sua possibilità di incidere nella storia, che non è mai dunque già scritta. L’uomo non è una sovrastruttura, non è un semplice prodotto di un’economia e di un complesso edipico, l’uomo è un essere variabile, parzialmente anche indipendente, che può sconfinare anche laddove sembra impossibile. Diventano, queste, le critiche di fondo alle filosofie precedenti. Alle suggestioni precedenti. Alle manipolazioni precedenti. In questo Popper sfonda il muro di tutte le convenzioni. Anche perché il suo liberalismo non è per nulla quell’abito ammuffito e anche sdrucito dal quale le nazioni europee si erano liberate in varie direzioni nella prima parte del novecento e delle quali non avvertivano particolari nostalgie nella seconda parte. Il suo è un liberalismo combattente. A proposito della tolleranza egli scrive: “Il liberale ama la tolleranza e la libertà. Il suo amore per la tolleranza è la necessaria conseguenza della convinzione di essere uomini fallibili. Tuttavia, egli è tollerante con i tolleranti, ma intollerante con gli intolleranti. La tolleranza, al pari della libertà, non può essere illimitata, altrimenti si autodistrugge. Infatti, la tolleranza illimitata porta alla scomparsa della tolleranza. Se estendiamo l’illimitata tolleranza anche a coloro che sono intolleranti, se non siamo disposti a difendere una società tollerante contro l’attacco degli intolleranti, allora i tolleranti saranno distrutti e la tolleranza con essi”. Evviva il liberalismo combattente. E poi al contrario di Bertrand Russell che ironicamente asseriva: “Non vorrei mai morire per le mie idee perché potrebbero essere anche sbagliate”, Popper invitata a battersi per l’affermazione delle proprie idee e sosteneva che “se un uomo non è disposto a rischiare per le proprie idee o le sue idee non valgono niente o non vale niente lui”. Le idee per lui sono la cosa più preziosa di un uomo. Ma attenzione a delineare sistemi chiusi e perfetti. E anche stati perfetti perché, e il novecento lo aveva insegnato “chiunque ha tentato di creare uno stato perfetto, un paradiso in terra, ha in realtà realizzato un inferno”. A questo Popper contrappone la sua società aperta in cui la politica faccia propria l’atteggiamento razionale della scienza, abbandonando il sogno di un mondo perfetto e adottando la pratica di interventi sempre limitati e parziali, come tentativi fallibili di risolvere singoli problemi della società. Un riformismo liberale a sfondo sociale. Anche sui computer e soprattutto sulla televisione Popper volle dire la sua. Quando morì, e cioè nel 1994, ancora l’informatica non aveva raggiunto i livelli attuali e il sistema digitale era solo agli inizi e ancora privo di Internet. Ma Popper afferma che “un computer non è altro che una matita più grande, più efficiente”. Non cambia i termini del rapporto tra l’uomo e li suo esterno. Sulla televisione è invece assai più esplicito. Rivendica un Istituto nazionale, un’autorità che entri nel merito delle scelte televisive e lo si accusa di non essere liberale. Egli allora precisa: “La televisione ha, specialmente per i ragazzi, il valore di un’autorità morale e svolge quindi un ruolo educativo. Distinguere in questo caso tra educare e informare non è soltanto falso, ma decisamente disonesto. Mi dispiace doverlo dire. Non ci può essere informazione che non esprima una certa tendenza. La televisione ha un immenso potere educativo e questo potere può far pendere la bilancia dal lato della vita o da quello della morte, dal lato della legge o da quello della violenza. E’ evidente che si tratta di cose terribili! Il liberalismo classico sotto tutte le sue forme ha sempre accordato una grande importanza all’educazione e un’importanza ancora più grande alla responsabilità”. E ancora: “Devo confessare che faccio fatica a capire queste obiezioni. Potrei aver voglia di esprimermi colpendovi con un pugno, ma è chiaro che non posso, non devo farlo. E’ forse antiliberale impedirmi di colpirvi? Qui è in gioco lo stesso principio. Perché dovrebbe essere antiliberale o paradossale per un liberale come me affermare la necessità di limitare la libertà? Ogni libertà deve essere limitata”. Sembra un assalto alla televisione di Berlusconi, al mito delle meteorine, oddio anche a quelle statali che non rispondono certo a criteri di educazione. Filmacci, inni alla violenza, isole dei famosi in cui conta sopravvivere eliminando gli amici, talk show dove urlare vuol dire primeggiare. Per favore Lerner, Vespa, Floris e Santoro ascoltate Popper: “Tutti quelli che invocano la libertà, l’indipendenza o il liberalismo per dire che non si possono porre delle limitazioni ad un potere pericoloso come quello della televisione, sono degli idioti. E se non sono degli idioti, sono dei porci che vogliono arricchirsi con lo spettacolo della violenza, educando alla violenza. Si tratta quindi di un principio assolutamente semplice. Se a scuola un professore vi insegna quello che bisogna fare per introdursi illecitamente in una banca o per avvelenare un genitore… voi direte che quel professore deve essere rimosso… La stessa cosa dovrebbe valere per i professionisti della televisione”. Popper non è mai finito in galera per oltraggio ai miti e ai riti televisivi. Semplicemente hanno smesso di invitarlo in tivù…
(Pubblicato originariamente il 4 Aprile 2012)