Tratto da Passione a 300 all’ora (LINK)
di Alessandro Secchi
E’ con questa immagine che strappa il cuore che salutiamo definitivamente l’ultima curva da pelo rimasta al nostro caro autodromo di Monza.
La parabolica, curva pericolosa, complicata, da percorrere con precisione, è diventata un immenso parcheggio. Si è uniformata alla Roggia, alla prima variante. Tra poco magari toccherà anche all’Ascari, per completare il quadretto. E’, probabilmente, il prezzo da pagare per restare in F1. Tante vie di fuga in asfalto per permettere ai piloti di rientrare se commettono un errore e, soprattutto, permettere agli sponsor sulle monoposto di essere ben visibili per più giri.
Ho già trattato tante volte il discorso. La sicurezza non è mai troppa, per carità. Ma la ricerca di sicurezza non può diventare la giustificazione per togliere al pilota il rischio non tanto dell’incidente, quanto quello della certezza di una perdita di tempo se esce dal tracciato. Da un eccesso siamo passati all’altro, a guardare tutti i piloti con quanti centimetri superano le righe bianche, per comminare o meno questa o quella sanzione. Dico io, non basterebbe una dannatissima striscia iniziale in ghiaia prima dell’asfalto? Quanto basta perchè i piloti sappiano che se escono perdono veramente tempo?
Più andiamo avanti più sembra tutto finto, studiato a tavolino per ruotare sempre e comunque intorno ai soldi. Una vettura che si insabbia e si deve ritirare non si mostra più: niente primi piani, niente colori e scritte in bella vista. E allora via, costruiamo cattedrali nel deserto con tornanti da 50 all’ora, per essere sicuri di riprendere bene queste scritte. Asfaltiamo ovunque, in modo da permettere a chi sbaglia di rientrare. Già che ci siamo (ve ne sarete accorti), sovrapponiamo graficamente all’erba in TV altre pubblicità, giusto per saturare ancora un po’.
Soldi, soldi e sempre soldi. Quelli che servono, poi, a Bernie, per comprarsi la libertà al processo di Monaco. Quelli che stanno rovinando tutto da anni. Siamo quasi alla fine.