Il Trenino e le sue storie: il racconto di treninogiallo

Terza puntata (QUI e QUI trovate le prime due), e spero non sia l’ultima, sui vostri racconti legati alle avventure sulla mitica tratta Laziali-Giardinetti (o Pantano, come una volta).

A raccogliere l’invito è stavolta il blogger che si sta dedicando anima e corpo, giorno dopo giorno, nel riportarci tutte le disavventure della linea più affascinante e disastrata della Capitale; più precisamente, sto parlando di @treninogiallo.

Vi lascio all’interessante lettura!

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Una storia per la Roma – Giardinetti

http://tramromagiardinetti.blogspot.it/2013/10/una-storia-per-la-roma-giardinetti.html

Qualche tempo fa Fabio Cruciani (@FabioCruciani) scrisse un breve racconto sul suo blog riguardante un’esperienza particolare vissuta in compagnia del Roma – Giardinetti e invitò i lettori a rispondere al post narrando a propria volta una storia che fosse intrecciata col trenino; quello che oggi vi narro è il ricordo che forse mi lega di più a questa ferrovia.

Spero che non giudicherete male questa mia giovanile impresa. Mio padre, che mi ha permesso di vivere quest’esperienza, ha fatto quello che vi racconterò con le migliori intenzioni, con il solo scopo di rendere felice un bambino.

Perché ho fatto questa premessa? Leggete e capirete…

Bisogna fare un salto indietro nel tempo e tornare nel 2000, quando avevo ancora 5 anni. Chiudo gli occhi e, con un grande sforzo mnemonico, il ricordo torna alla mente e prende forma: sto passando una tranquilla serata a casa dei nonni paterni che abitano a Centocelle. Si è ormai fatto tardi e quindi, salutati i nonni, con mio padre prendo la macchina diretto verso casa. La strada è la solita: andiamo diritti su via dei Castani fino alla chiesa di San Felice da Cantalice, giriamo su via delle Camelie e infine arriviamo a Piazza delle Camelie. Ci fermiamo e scendiamo anche se non siamo ancora arrivati a destinazione. Con gran velocità vado verso il centro della piazza dove si trova, accanto a una fontana, un tronchino di binari di manovra con tanto di scambio manuale facente parte della vecchia diramazione del trenino per piazza dei Mirti. È il momento della giornata che preferisco perché posso giocare a uno dei miei giochi preferiti.

La vecchia struttura della stazione Centocelle

Il mio svago consiste in questo: sulla linea ferroviaria, che si trova a circa 400 metri di fronte allo scambio, i treni che procedono sul binario sbagliato. È necessario quindi che io faccia spostare gli aghi del deviatoio per far tornare il convoglio sui binari giusti.
Appena vedo sfrecciare il primo treno prontamente aziono il manolo; nella realtà non succede nulla, nella mia fantasia ho indirizzato il primo di tanti convogli sul binario giusto. Passa il tempo, i treni si fanno sempre più radi, e si fa notte fonda. Tra me e me protesto perché vorrei giocare ancora, ma i treni sono andati a dormire. Mio padre mi prende per mano e insieme attraversiamo la strada andando verso destra e dando le spalle al deposito ferroviario. Stranamente non ci dirigiamo verso la macchina e procediamo silenziosamente immersi nell’oscurità passando tra i binari arrugginiti. La terra sotto i miei piedi è diventata improvvisamente irregolare perché sto calpestando la massicciata della ferrovia. La luce è troppo poca per permettermi di capire dove stiamo andando, tuttavia riconosco accanto a me un profilo fin troppo familiare. La gioia mi pervade il cuore mentre, passando tra le ombre dei treni di giorno rumorosi e ora silenti, realizzo che ci siamo introdotti nel deposito ferroviario di Centocelle. Mio padre rompe per un istante il momento idilliaco indicandomi i capannoni che si intravedono più avanti e mi dice: “Quella è la casa dei trenini. Vuoi andarci ?”. Annuisco ripetutamente sempre più felice e contento.

A questo punto la memoria si interrompe: non mi è noto come siamo riusciti ad eludere la sorveglianza, sempre ammesso che ce ne fosse. Emerge però un altro ricordo ben chiaro; all’interno del capannone nel quale ci siamo introdotti sono ricoverati treni con ancora la vecchia livrea blu tipica della Stefer.

Carrello a pompa trolley

Camminando poi verso il fondo dell’edificio troviamo adagiato sui binari un carrello a pompa trolley. Tra il treno affiancato e il muro c’è uno spazio di circa 2 – 3 metri, abbastanza per poter manovrare il carrello avanti e indietro. Passerei le ore con quel semplice divertimento e non me ne vorrei mai andare ma alla fine, dopo aver strappato a mio padre con la promessa di tornare, vengo convinto a uscire dal deposito. E così con la stessa facilità con cui siamo entrati, ci allontaniamo e torniamo entrambi a casa con la felicità nel cuore.
Nonostante io sia cresciuto sogno ancora di poter visitare quel deposito – museo, unico garante dell’esistenza di questa ferrovia: chissà se potrò realizzare questo piccolo desiderio. Nel frattempo mi accontenterò di azionare ancora qualche volta lo scambio di piazza delle Camelie.

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